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Parte 7° - Umanizzazione della sostenibilità - Il Fattore Umano

“Nell'ambito dell'architettura ecologica si distinguono essenzialmente due scuole di pensiero. Quella di Norman Foster, che dice che si possono risolvere i problemi ecologici con più tecnologia, e quella di Soleri che dice “NO alla tecnologia!” Noi stiamo nel mezzo, anche se la mia simpatia va più verso Soleri. Io non voglio cambiare il nostro stile di vita o tornare all'età della pietra, ma se ci mettiamo nell'ottica che faccia più caldo in estate e più freddo in inverno sono convinto che potremo aspettarci un grado accettabile di confort seguendo le regole della natura”. (Stefan Behnisch - Umanesimo ecologico)


Nel passato l’efficacia era sinonimo di sopravvivenza, oggi il microcosmo artificiale che ci circonda – che possiamo chiamare civiltà, urbanizzazione, territorio antropizzato - non ci consente la percezione diretta del “pericolo”; i cambiamenti climatici stanno scardinando però l’involucro protettivo che drammaticamente ci ha allontanato dalla realtà, nella sua complessità.


Appare poco realista non considerare le problematiche legate al concetto di sostenibilità disgiunte dal clima culturale e sociale a livello generale; ogni tipo di strategia avrebbe il “fiato corto” se non partisse dall’affronto della causa primaria dell’attuale emergenza: l’aggressione della natura e delle sue risorse come l’aggressione alle civiltà meno organizzate.


Ma anche nella piccola scala, a livello del singolo intervento, non possiamo non renderci conto che anche il miglior progetto bioclimatico può naufragare miseramente, infrangendosi negli scogli di problematiche che comunemente riteniamo estranee al progetto di architettura, e che riguardano la coscienza collettiva e la sensibilità del singolo. Pensiamo, ad esempio, al semplice gesto di aprire e richiudere una finestra; in un recente passato gesto quotidiano, sapiente ed accorto, che consentiva il ricambio naturale dell'aria ed il raffrescamento degli ambienti nelle ore più indicate. Oggi questo piccolo gesto è sopraffatto da ritmi di vita sempre più frenetici come da timori e incertezze di ordine sociale.


E pensiamo, allora, a quali conseguenze, per esempio, sotto il profilo energetico, avrebbe un uso non appropriato di una serra solare. E, per contro, a quale immediato guadagno ci sarebbe se ognuno potesse avere il tempo – e la tranquillità, e la salubrità – di poter tenere aperte le finestre della propria abitazione.


Ritrovare le radici con il contesto naturale passa attraverso piccoli gesti, nel quotidiano; è un processo culturale, prima che tecnologico, che investe anche la sfera sociale.


Prima che una sovrastruttura – un “cappotto” all'interno del quale continuare a procastinare una presa di coscienza – il primo materiale da costruzione è quindi il “fattore umano”, una cultura della consapevolezza: un materiale ad impatto zero - anche se meno rassicurante di un pannello isolante.

Silvia Nanni Architetto