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Parte 3° - Riqualificazione: l'aver cura come metodo

«Il contrario dell’arte non è la bruttezza, ma l’indifferenza»i. Siamo ormai assuefatti alla sciatteria, ad essere circondati da oggetti e spazi di scarsa qualità e breve durata, avari nel non concederci il tempo di affezionarci a loro; è vero per gli oggetti ma è ancor più vero (e umanamente spaesante) per gli spazi in cui viviamo ogni giorno. Spazi privi di cura, inespressivi quando non brutali nella loro bruttezza.

“E dunque possiamo affermare che la merce venduta con maggior successo dell'economia industriale è la soddisfazione, e che tale merce costantemente promessa, comprata e pagata, in realtà non viene mai consegnata. Le persone soddisfatte, d'altro canto, non sentono la necessità di possedere molti beni. La costante ricerca di soddisfazione è collegata direttamente e in modo complesso alla nostra dissociazione, e a quella di tutti i beni che possediamo, dalle nostre e dalle loro storie. Se le cose non durano, se non sono fatte per durare, possono non avere storia, e noi che lo usiamo possiamo non avere memoria.(...) Non serbiamo affetto per gli oggetti scadenti e precari, e dunque non ce li ricordiamo. In altre parole, non vi investiamo il rispetto e l'ammirazione durevoli che ci permettono di provare soddisfazione.”ii

Allo stesso modo, gli spazi che abitiamo li attraversiamo frettolosamente; raramente suscitano in noi un interesse, tantomeno una qualche di preoccupazione per la loro sorte.

L'aver cura risulta così sempre un atto creativo; un atto che, necessariamente, chiede Tempo – il tempo della consapevolezza, dello studio, dell'esame della migliore soluzione riferita alle molteplici circostanze – che sono sempre differenti e la cui presa di coscienza chiede, di nuovo, Tempo.

Ed il tempo che investiamo, che dedichiamo a quegli spazi, il tempo che fermiamo - nelle nostre vite di corsa - che ci consente di riallacciare il discorso, interrotto, con la Storia; con quel processo virtuoso per il quale costruire non rappresenta opera di sottrazione di risorse al territorio ma opera di arricchimento, di innovazione e di consolidamento attraverso un continuo rinnovarsi ed integrarsi dei tanti saperi e delle molteplici sensibilità; un fecondo processo di riattualizzazione del volto dell’ambiente costruito.

le “finestre rotte” La «teoria delle finestre rotte». Due criminologi, Q. Wilson e G. Kelling, sostengono che la criminalità è l’inevitabile risultato del disordine: se una finestra è rotta e non viene riparata, chi vi passa davanti concluderà che nessuno se ne preoccupa e che nessuno ha la responsabilità di provvedere. Ben presto ne verranno rotte molte altre e la sensazione di anarchia si diffonderà da quell’edificio alla via su cui si affaccia, dando il segnale che tutto è possibileiii.

Applicando la «teoria delle finestre rotte» a New York, negli anni ‘80, è stata sconfitta la dilagante criminalità; applicando la «teoria delle finestre rotte» nella realtà, spesso priva di qualità, del Patrimonio edilizio esistente possiamo immaginare di avviare un processo virtuoso di riqualificazione attraverso una attività che è, sostanzialmente, una attività di cura.

È convinzione radicata di affidare il recupero degli spazi urbani alla realizzazione di interventi a grande scala; ma è nella piccola scala, quella delle scelte di dettaglio, della dimensione del pedone, dello spazio minuto che si realizza la vera qualità e la duratura riqualificazione; nella cura del particolare, delle relazioni visuali ed olfattive, nella valorizzazione dei segni della memoria, nell'accurata scelta dei materiali, nella misura delle scelte progettuali, nelle buone pratiche realizzative ed infine nella progettazione della durevolezza – che è probabilmente la prima forma di sostenibilità. Non grandi opere ma il recupero puntuale di ogni singola stanza o spazio aperto, attraverso pazienti ed attenti interventi di cura del costruito come del paesaggio, interventi innovativi nella loro capacità di conservare o restituire un legame con chi questi spazi li abita o li abiterà e con la Storia.

Silvia Nanni Architetto

i - Elie Wiesel cit. in “Paesaggio: l'anima dei luoghi” a cura di Luisa Bonesio e Luca Micotti, Edizioni Diabasis 2008

ii - Wendell Berry “la Strada dell'ignoranza” 2015 Edizioni Lindau

iii - Malcom Gladwell “il Punto critico – i grandi effetti dei piccoli cambiamenti” BUR, 2000.


articolo pubblicato su Impreseedili https://www.impresedilinews.it/riqualificazione-laver-cura-come-metodo/